UN'ATTENZIONE PARTICOLARE
I primi anni di vita sono il periodo più “denso” e importante dell’intera esistenza: si apprendono alcune abilità biologicamente determinate (camminare, parlare, controllare gli sfinteri…), si elaborano stati emotivi e si gettano le basi della personalità adulta, con un’intensità che non è pari ad alcuna altra fase della vita degli umani. Questa considerazione basta da sola a motivare l’enorme rispetto e delicatezza con cui è indispensabile accostarsi a un bambino.
CHE COS'E' L'INFANZIA?
Alla nascita, il bambino subisce un trauma notevole. Egli passa da una condizione ideale (a cui inconsciamente anelerà per tutta la vita) in cui fisicamente è tutt’uno con la madre e in cui i suoi bisogni vengono soddisfatti automaticamente, senza che lui provi alcun disagio e senza dover chiedere niente, a una situazione terrorizzante e disgregata. Dopo il parto, infatti, patisce il caldo e il freddo, il fastidio di essere sporco, prova i morsi della fame, senza sapere come porvi rimedio (senza neanche capire che non ne sarà annientato) e senza sapere che qualcuno a lui vicino lo aiuterà.
Affinché non venga sopraffatto dalla portata emotiva di questo disagio, è fondamentale che venga ripetutamente accudito da una figura attentamente in ascolto e in grado di elaborare le complesse informazioni che gli giungono dall’interno e dall’esterno, così da accrescere il bagaglio di esperienze, maturare, imparare a chiedere e aspettare. Lo strumento del pianto è inizialmente l’unico in possesso del neonato per comunicare. Il bambino ci dice sempre qualcosa quando piange e l’efficacia degli interventi di cura dipendono dalla capacità e dall’allenamento all’ascolto offerti dalle figure di accudimento.
Mentre nei primi tre o quattro mesi di vita il bambino dirige i suoi comportamenti di attaccamento (tende a rispondere al sorriso e incrocia lo sguardo di chi lo tiene in braccio) in modo abbastanza indifferenziato, verso i sei /sette mesi si stabilisce la progressiva comprensione della costanza dell’oggetto. Questo è un passaggio fondamentale dello sviluppo dell’Io, in cui il bambino sperimenta che le cose e le persone esistono anche quando sono fuori dal suo campo visivo. A questo punto evolutivo, infatti, nella maggior parte dei casi il bambino sceglie una persona - in genere la madre - come prevalente oggetto del suo attaccamento ed incomincia a comprenderne anche gli allontanamenti e i movimenti di riavvicinamento. La possibilità di eleggere un oggetto (coperta, peluche, indumento…) a sostituto consolatorio della figura di accudimento principale (Winnicott), gli consente di allontanarsi e sperimentare i primi movimenti di separazione.
Verso i 18 mesi si verifica il passaggio tra la prima e la seconda infanzia. La crescita neurologica, le aree motorie e percettive si sviluppano quasi completamente, il bambino impara a camminare (tra i 12 e i 15 mesi) e il campo delle sue esperienze si allarga. Ancora l’attaccamento più forte è verso una sola persona, in seguito si estenderà a più persone . La stabilità di queste prime forme di legame affettivo rivestirà particolare importanza per il successivo sviluppo della personalità.
Le funzioni simboliche hanno un forte impulso: prendono forma concetti rudimentali, fanno la comparsa le prime parole e alcune frasi di due parole. Tra i diciotto e i 36 mesi si verificano conquiste a livello linguistico e cognitivo che aprono il mondo del bambino verso possibilità e abilità del tutto nuove.
Intorno ai due anni il bambino usa le parole con crescente abilità e si cala in qualche misura, nella prospettiva altrui. Usa in abbondanza il termine “mio” (che in realtà significa “mi riguarda, è la mia sfera”), e cresce l’utilizzo del “no”, come inizio di manifestazione di distacco dalla madre e sviluppo dell’individualità. Si allontana sempre più dalla “base sicura” e inizia l’interazione con i coetanei.
Affinché non venga sopraffatto dalla portata emotiva di questo disagio, è fondamentale che venga ripetutamente accudito da una figura attentamente in ascolto e in grado di elaborare le complesse informazioni che gli giungono dall’interno e dall’esterno, così da accrescere il bagaglio di esperienze, maturare, imparare a chiedere e aspettare. Lo strumento del pianto è inizialmente l’unico in possesso del neonato per comunicare. Il bambino ci dice sempre qualcosa quando piange e l’efficacia degli interventi di cura dipendono dalla capacità e dall’allenamento all’ascolto offerti dalle figure di accudimento.
Mentre nei primi tre o quattro mesi di vita il bambino dirige i suoi comportamenti di attaccamento (tende a rispondere al sorriso e incrocia lo sguardo di chi lo tiene in braccio) in modo abbastanza indifferenziato, verso i sei /sette mesi si stabilisce la progressiva comprensione della costanza dell’oggetto. Questo è un passaggio fondamentale dello sviluppo dell’Io, in cui il bambino sperimenta che le cose e le persone esistono anche quando sono fuori dal suo campo visivo. A questo punto evolutivo, infatti, nella maggior parte dei casi il bambino sceglie una persona - in genere la madre - come prevalente oggetto del suo attaccamento ed incomincia a comprenderne anche gli allontanamenti e i movimenti di riavvicinamento. La possibilità di eleggere un oggetto (coperta, peluche, indumento…) a sostituto consolatorio della figura di accudimento principale (Winnicott), gli consente di allontanarsi e sperimentare i primi movimenti di separazione.
Verso i 18 mesi si verifica il passaggio tra la prima e la seconda infanzia. La crescita neurologica, le aree motorie e percettive si sviluppano quasi completamente, il bambino impara a camminare (tra i 12 e i 15 mesi) e il campo delle sue esperienze si allarga. Ancora l’attaccamento più forte è verso una sola persona, in seguito si estenderà a più persone . La stabilità di queste prime forme di legame affettivo rivestirà particolare importanza per il successivo sviluppo della personalità.
Le funzioni simboliche hanno un forte impulso: prendono forma concetti rudimentali, fanno la comparsa le prime parole e alcune frasi di due parole. Tra i diciotto e i 36 mesi si verificano conquiste a livello linguistico e cognitivo che aprono il mondo del bambino verso possibilità e abilità del tutto nuove.
Intorno ai due anni il bambino usa le parole con crescente abilità e si cala in qualche misura, nella prospettiva altrui. Usa in abbondanza il termine “mio” (che in realtà significa “mi riguarda, è la mia sfera”), e cresce l’utilizzo del “no”, come inizio di manifestazione di distacco dalla madre e sviluppo dell’individualità. Si allontana sempre più dalla “base sicura” e inizia l’interazione con i coetanei.
GIOCARE PER CRESCERE
Il giocare svolge un ruolo importante nella formazione psicologica del bambino e questa dimensione, sia pure mascherata, si ritroverà più tardi nell’attività ludica dell’adolescente e dell’adulto. Questa funzione è talmente importante che i bambini a cui l’ambiente non offre sufficienti stimoli in questo senso, rischiano di essere intellettualmente carenti. Fino a tre anni il gioco è di tipo parallelo (cioè i bambini giocano vicini ma non insieme), poi diventa sempre più cooperativo (incominciano le vere relazioni di gioco). Le fondamentali funzioni evolutive di questa attività sono di tipo esplorativo, catartico e simbolico. Tutti i giochi favoriscono l’accrescimento della padronanza della realtà circostante, impegnando l’attenzione e la memoria, il giudizio e il raziocinio, contribuendo ad approfondire la conoscenza empirica e indirettamente quella scientifica.
Il bambino, inoltre, giocando scarica e libera le tensioni interne, mettendosi in una posizione attiva e di dominio della realtà che invece, è spesso costretto a subire. Infatti sono inventando situazioni di ruoli rovesciati, il bambino sfugge alle numerose frustrazioni provenienti dagli adulti che quotidianamente vive e che rischierebbero di schiacciarlo se non fossero in qualche modo elaborate. Riuscendo a scaricare l’aggressività a accumulata, preserva senza danneggiare le relazioni con gli altri.
Simula ruoli e regole allenandosi al comportamento di figlio, di genitore, di maschio, di femmina, di dottore, di cantante, di maestra… Più tardi attraverso il gioco con regole, darà prova di sapersi conformare alle richieste dall’ambiente in cui vive, procedendo sulla strada della maturazione del senso sociale e morale.
Il bambino, inoltre, giocando scarica e libera le tensioni interne, mettendosi in una posizione attiva e di dominio della realtà che invece, è spesso costretto a subire. Infatti sono inventando situazioni di ruoli rovesciati, il bambino sfugge alle numerose frustrazioni provenienti dagli adulti che quotidianamente vive e che rischierebbero di schiacciarlo se non fossero in qualche modo elaborate. Riuscendo a scaricare l’aggressività a accumulata, preserva senza danneggiare le relazioni con gli altri.
Simula ruoli e regole allenandosi al comportamento di figlio, di genitore, di maschio, di femmina, di dottore, di cantante, di maestra… Più tardi attraverso il gioco con regole, darà prova di sapersi conformare alle richieste dall’ambiente in cui vive, procedendo sulla strada della maturazione del senso sociale e morale.
PIACERE E AGGRESSIVITA'
Freud ha distinto due grandi tipi di pulsione presenti alla nascita. La pulsione di vita è l'energia che esprime i bisogni affettivi e sessuali ed è denominata da Freud libido . L'energia libidica può essere utilizzata anche sessualmente, nel senso cioè della sessualità comunemente intesa, ma può essere usata in senso molto più vasto di quello strettamente genitale.
Per il padre della psicoanalisi, infatti, riguarda è tutto ciò che può rientrare nella parola "amore" e quindi anche le emozioni di tenerezza, il sentimento di amicizia e tutto quanto riempie in senso affettivo la nostra vita. La sessualità così intesa copre tutta la vita dell'uomo.
Insieme alla pulsione di vita o libido, esiste in noi una forza che opera proprio nel senso opposto all'impulso di vita; è la pulsione aggressiva (la pulsione di morte) che può essere rivolta o verso l'interno di noi stessi con la conseguenza dell'autodistruzione o verso l'esterno e allora prende la forma dell'odio, dell'aggressione, della distruttività in genere.
Durante il primo anno di vita la cavità orale e le sue funzioni sono la principale fonte di piacere e quindi il centro dell'esperienza del bambino. E' attorno alla bocca che si concentrano le prime manifestazioni affettivo-sessuali del bambino. Egli, attraverso l'allattamento, viene non solo nutrito, ma gli viene data anche la possibilità di vivere le prime esperienze di piacere. Il piacere è inizialmente legato alla suzione alimentare. Progressivamente però il piacere è provocato in maniera autonoma con la suzione non alimentare di parti del proprio corpo (il pollice, la lingua) o il succhiotto. La bocca, oltre che zona erogena, è anche un organo di conoscenza della realtà: il bambino non si accontenta di toccare le cose, le porta alla bocca, vuole conoscerne il sapore.
Oltre all’esperienza del piacere, si introduce anche la dimensione aggressiva, verso la fine del primo anno e nel corso del secondo anno, ed è connessa con la dentizione e l'abbandono dell'alimentazione integralmente liquida. E' caratterizzata dal bisogno di mordere e dalla separazione del piacere orale dall'assunzione del cibo. Il seno è differenziato come oggetto separato e non sempre disponibile. La frustrazione viene compensata con la gratificazione mediante atti aggressivi orali (mordere).
Il secondo anno di vita è caratterizzato, oltre che dall'acquisizione dell'autonomia motoria che culmina nella deambulazione, dallo spostamento di interesse verso la zona anale anche in conseguenza dell'addestramento al controllo degli sfinteri. Prima dell'intervento dell'adulto, il bambino ha con le sue feci un rapporto positivo: esse sono vissute come parti del proprio corpo, ed il bambino può dunque trattenerle per il suo soddisfacimento autoerotico, oppure può offrirle come "regali" alla madre. Anche in questo stadio interviene una dimensione aggressiva: il bambino può trattenere le feci per "fare dispetto" alla madre e dominarla, o invece lasciarle andare per sporcare ed esprimere ancora la sua ostilità. Lo stadio anale è quindi dominato dalla polarizzazione tra il trattenere e il lasciare andare che servono per esprimere opposte tendenze: autoerotiche, di amore, di aggressività e di dominio.
Per il padre della psicoanalisi, infatti, riguarda è tutto ciò che può rientrare nella parola "amore" e quindi anche le emozioni di tenerezza, il sentimento di amicizia e tutto quanto riempie in senso affettivo la nostra vita. La sessualità così intesa copre tutta la vita dell'uomo.
Insieme alla pulsione di vita o libido, esiste in noi una forza che opera proprio nel senso opposto all'impulso di vita; è la pulsione aggressiva (la pulsione di morte) che può essere rivolta o verso l'interno di noi stessi con la conseguenza dell'autodistruzione o verso l'esterno e allora prende la forma dell'odio, dell'aggressione, della distruttività in genere.
Durante il primo anno di vita la cavità orale e le sue funzioni sono la principale fonte di piacere e quindi il centro dell'esperienza del bambino. E' attorno alla bocca che si concentrano le prime manifestazioni affettivo-sessuali del bambino. Egli, attraverso l'allattamento, viene non solo nutrito, ma gli viene data anche la possibilità di vivere le prime esperienze di piacere. Il piacere è inizialmente legato alla suzione alimentare. Progressivamente però il piacere è provocato in maniera autonoma con la suzione non alimentare di parti del proprio corpo (il pollice, la lingua) o il succhiotto. La bocca, oltre che zona erogena, è anche un organo di conoscenza della realtà: il bambino non si accontenta di toccare le cose, le porta alla bocca, vuole conoscerne il sapore.
Oltre all’esperienza del piacere, si introduce anche la dimensione aggressiva, verso la fine del primo anno e nel corso del secondo anno, ed è connessa con la dentizione e l'abbandono dell'alimentazione integralmente liquida. E' caratterizzata dal bisogno di mordere e dalla separazione del piacere orale dall'assunzione del cibo. Il seno è differenziato come oggetto separato e non sempre disponibile. La frustrazione viene compensata con la gratificazione mediante atti aggressivi orali (mordere).
Il secondo anno di vita è caratterizzato, oltre che dall'acquisizione dell'autonomia motoria che culmina nella deambulazione, dallo spostamento di interesse verso la zona anale anche in conseguenza dell'addestramento al controllo degli sfinteri. Prima dell'intervento dell'adulto, il bambino ha con le sue feci un rapporto positivo: esse sono vissute come parti del proprio corpo, ed il bambino può dunque trattenerle per il suo soddisfacimento autoerotico, oppure può offrirle come "regali" alla madre. Anche in questo stadio interviene una dimensione aggressiva: il bambino può trattenere le feci per "fare dispetto" alla madre e dominarla, o invece lasciarle andare per sporcare ed esprimere ancora la sua ostilità. Lo stadio anale è quindi dominato dalla polarizzazione tra il trattenere e il lasciare andare che servono per esprimere opposte tendenze: autoerotiche, di amore, di aggressività e di dominio.
CHI SONO IO?
Verso i 4/5 anni, si sviluppa in modo specifico il concetto di sé e dell’identità sessuale. Il bambino progressivamente acquisisce consapevolezza dell’esistenza di un ‘Io’ come entità separata dagli altri (dimensione esistenziale che inizia a svilupparsi dal momento della nascita) e di un ‘Io categorico’ con caratteristiche specifiche di sesso, nazionalità, opinioni e vi attribuisce un giudizio di valore. Nella teoria Freudiana l’Io è la parte della personalità che organizza, pianifica e mantiene il contatto tra individuo e realtà. Il linguaggio e il pensiero sono entrambi funzioni dell’Io, che in questo periodo si consolidano e con cui il bambino si cimenta in abilità e relazioni più complesse. Ascoltando e immagazzinando i rinforzi dell’ambiente sulla sua identità di genere e sulle sue capacità e suoi limiti, giunge a un primo abbozzo di conclusioni e riflessioni su sé stesso, dando un apporto concreto al concetto di sé in formazione. Anche l’aspetto morale assume importanza e inizia la conquista dell’autocontrollo e del senso di responsabilità.
QUALE EDIPO?
Alcuni concetti della psicoanalisi fanno ormai parte di un sapere comune, come il “complesso di Edipo”, introdotto per descrivere quello stadio della crescita in cui il bambino, fra i tre e i cinque anni, vive un attaccamento possessivo verso il genitore di sesso opposto e desidera escludere l’altro da questo rapporto. Avendo ucciso – a sua insaputa – il padre e sposato la madre, Edipo, eroe delle tragedie greche di Sofocle, è stato scelto come emblema di tale situazione.
La fase edipica consiste infatti in un insieme di sentimenti di amore-odio-rivalità per il genitore del proprio sesso e di amore e desiderio per il genitore di sesso opposto. Per il maschietto, l'oggetto d'amore, la madre, viene vissuto con forti sensi di gelosia, rivalità e conseguente senso di colpa nei confronti del padre. Per la bambina la situazione è naturalmente inversa
Ma il padre (o la madre per la bambina) è un rivale grande e forte verso cui il bambino (e la bambina) prova anche ammirazione, stima, affetto. La situazione edipica si risolve quando il bambino, anche spinto dai suoi sensi di colpa per aver nutrito ostilità nei confronti del genitore dello stesso sesso, deciderà di reprimere il proprio desiderio per la madre (o il padre), e si identificherà in lui (o in lei), introiettando i suoi valori, i suoi atteggiamenti, le sue proibizioni. E' questo meccanismo di identificazione e introiezione che porta alla completa strutturazione del Super-io, o coscienza morale primitiva, fondamentalmente inconscia.
La fase edipica consiste infatti in un insieme di sentimenti di amore-odio-rivalità per il genitore del proprio sesso e di amore e desiderio per il genitore di sesso opposto. Per il maschietto, l'oggetto d'amore, la madre, viene vissuto con forti sensi di gelosia, rivalità e conseguente senso di colpa nei confronti del padre. Per la bambina la situazione è naturalmente inversa
Ma il padre (o la madre per la bambina) è un rivale grande e forte verso cui il bambino (e la bambina) prova anche ammirazione, stima, affetto. La situazione edipica si risolve quando il bambino, anche spinto dai suoi sensi di colpa per aver nutrito ostilità nei confronti del genitore dello stesso sesso, deciderà di reprimere il proprio desiderio per la madre (o il padre), e si identificherà in lui (o in lei), introiettando i suoi valori, i suoi atteggiamenti, le sue proibizioni. E' questo meccanismo di identificazione e introiezione che porta alla completa strutturazione del Super-io, o coscienza morale primitiva, fondamentalmente inconscia.
LA FUNZIONE PATERNA
ll ruolo del padre esce sempre più dalla sfondo e si consolida la triade madre/padre/bambino, in cui la figura maschile insegna le regole e sottolinea i divieti. E’ anche una fase di “sfida” in cui il bambino costruisce l’autostima e si confronta iniziando a uscire dalla famiglia (scuola materna e allargamento di relazioni, nascita delle prime vere amicizie). A questa età i bambini manifestano disagio attraverso la difficoltà ad addormentarsi e con il comunicare specifiche paure (aggressività dei compagni e propria, streghe e mostri).
In quel periodo dell’infanzia una delle funzioni genitoriali, del padre in particolare, consiste nell’aiutare il bambino ad andare oltre la volontà di possedere l’altro e goderne a piacimento in modo esclusivo, mettendolo di fronte a «la Legge dell’Altro», secondo la definizione di Jacques Lacan. Questo psicoanalista francese (1901-1981) ha reinterpretato il “complesso di Edipo” andando oltre l’ambito strettamente sessuale: si tratta di un momento necessario per accedere alla socialità, attraverso una «castrazione simbolica» mediata dal linguaggio. Il padre, infatti, inserendosi nella relazione fra madre e figlio, impedisce al bambino di ridurre l’altro a un puro oggetto per soddisfare il suo istinto, basato sul principio del piacere, e introduce nella sua vita, per mezzo del linguaggio, il limite della legge come condizione necessaria a stabilire una sana relazione con sé e gli altri. Il segreto della funzione dell’adulto è poter regolare un po’ il capriccio infantile. se il capriccio non si regola nell’infanzia il
soggetto perdera ogni valore sociale.
Nella situazione infantile odierna, l’autorità simbolica del padre appare svanita e diventa difficile fare i conti con la dimensione del limite e della legge. La difficoltà in questo ambito deriva dalla confusione delle generazioni, per cui i genitori si assimilano ai loro figli, nel senso di una incapacità ad assumersi la responsabilità implicita in ogni atto educativo, al saper rinunciare a qualsiasi aspettativa narcisistica sui figli.
In quel periodo dell’infanzia una delle funzioni genitoriali, del padre in particolare, consiste nell’aiutare il bambino ad andare oltre la volontà di possedere l’altro e goderne a piacimento in modo esclusivo, mettendolo di fronte a «la Legge dell’Altro», secondo la definizione di Jacques Lacan. Questo psicoanalista francese (1901-1981) ha reinterpretato il “complesso di Edipo” andando oltre l’ambito strettamente sessuale: si tratta di un momento necessario per accedere alla socialità, attraverso una «castrazione simbolica» mediata dal linguaggio. Il padre, infatti, inserendosi nella relazione fra madre e figlio, impedisce al bambino di ridurre l’altro a un puro oggetto per soddisfare il suo istinto, basato sul principio del piacere, e introduce nella sua vita, per mezzo del linguaggio, il limite della legge come condizione necessaria a stabilire una sana relazione con sé e gli altri. Il segreto della funzione dell’adulto è poter regolare un po’ il capriccio infantile. se il capriccio non si regola nell’infanzia il
soggetto perdera ogni valore sociale.
Nella situazione infantile odierna, l’autorità simbolica del padre appare svanita e diventa difficile fare i conti con la dimensione del limite e della legge. La difficoltà in questo ambito deriva dalla confusione delle generazioni, per cui i genitori si assimilano ai loro figli, nel senso di una incapacità ad assumersi la responsabilità implicita in ogni atto educativo, al saper rinunciare a qualsiasi aspettativa narcisistica sui figli.
FASE DI LATENZA
Lo stadio definito da Freud di latenza affettiva inizia alla fine del quinto anno e dura fino alla pubertà e in questa fase sembra che gli interessi sessuali siano sopiti. In generale, è un periodo di quiete ma non di vuoto in cui prosegue e si consolida l’apprendimento e i cambiamenti sono meno evidenti dei periodi precedenti e successivi, ma non meno significativi.
I desideri e le esperienze sessuali vengono rimossi, il bambino entra in un periodo di non conflittualità familiare, diventa collaborativo e affidabile, sposta i suoi interessi da mete affettive a mete intellettuali e dalla microsocietà familiare alla macrosocietà extrafamiliare: i gruppi di coetanei, la scuola.
Intorno ai 6 anni pressoché in tutte le culture il bambino inizia il suo percorso nella scuola primaria e quindi c’è da parte degli adulti, un riconoscimento implicito del suo essere pronto per tale passaggio. Il bambino inizia anche a cimentarsi con competenze cognitive in modo più sistematico (passando dalle operazioni concrete all’uso pieno della logica induttiva) e relazionali (passa molte ore fuori casa, deve seguire altre regole, conosce tutti insieme molti coetanei…) tutte esperienze particolarmente ricche ma anche fonti di possibile stress.
Intorno ai 7 anni, compare in modo a volte anche particolarmente pressante, la paura della morte, propria o dei familiari, che diventa un concetto importante con cui confrontarsi e interrogarsi.
I desideri e le esperienze sessuali vengono rimossi, il bambino entra in un periodo di non conflittualità familiare, diventa collaborativo e affidabile, sposta i suoi interessi da mete affettive a mete intellettuali e dalla microsocietà familiare alla macrosocietà extrafamiliare: i gruppi di coetanei, la scuola.
Intorno ai 6 anni pressoché in tutte le culture il bambino inizia il suo percorso nella scuola primaria e quindi c’è da parte degli adulti, un riconoscimento implicito del suo essere pronto per tale passaggio. Il bambino inizia anche a cimentarsi con competenze cognitive in modo più sistematico (passando dalle operazioni concrete all’uso pieno della logica induttiva) e relazionali (passa molte ore fuori casa, deve seguire altre regole, conosce tutti insieme molti coetanei…) tutte esperienze particolarmente ricche ma anche fonti di possibile stress.
Intorno ai 7 anni, compare in modo a volte anche particolarmente pressante, la paura della morte, propria o dei familiari, che diventa un concetto importante con cui confrontarsi e interrogarsi.
PUBERTA'
L'epoca della pubertà è caratterizzata da un "ritorno edipico": la pulsione sessuale si fa sentire con piena intensità e gli antichi oggetti familiari vengono ripresi e investiti nuovamente di libido. Successivamente l'individuo maturerà la rinuncia ai genitori come oggetti sessuali infantili e sposterà il suo interesse verso altri oggetti esterni al nucleo familiare. Non è infrequente, anzi è di norma, una fase ‘omosessuale’ della prima adolescenza con giochi o con franchi comportamenti omosessuali, di coppia o di gruppo, oppure soltanto con intimità "spirituali". Questa fase è da intendere come un mettere alla prova la propria identità sesssuale, un esplorare la propria competenza sessuale, al riparo dall'impatto con l'altro sesso.
La vita sessuale polimorfa, dispersa e mutevole del bambino, acquista ora una organizzazione stabile per cui, alla fine dell'adolescenza, il carattere sessuale dell'individuo è definitivamente formato. Con il compimento dello sviluppo psico-sessuale si arriva a una sessualità realmente maschile o femminile.
La vita sessuale polimorfa, dispersa e mutevole del bambino, acquista ora una organizzazione stabile per cui, alla fine dell'adolescenza, il carattere sessuale dell'individuo è definitivamente formato. Con il compimento dello sviluppo psico-sessuale si arriva a una sessualità realmente maschile o femminile.